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Mauro-Rubin

Realtà Aumentata, svolta di un domani che è già iniziato
(Mauro, Milano)

La crisi sanitaria (e la crisi economica che ne consegue) ci ha insegnato che dobbiamo creare aziende con processi più resilienti. Questa consapevolezza ci porterà nel breve termine a un incremento dell’automazione: entreranno in scena prevalentemente robot e intelligenza artificiale con cui l’essere umano potrà interagire attraverso interfacce in Realtà Aumentata.

Da 11 anni mi occupo proprio di realtà aumentata, una tecnologia che permette di ottenere informazioni rilevanti su qualsiasi oggetto, ambiente o persone. Ho iniziato ad interessarmi a questo settore con l’ambizione di creare uno strumento che potesse aiutarci a ottenere l’informazione giusta al momento giusto in qualsiasi contesto.

Era il 2010 quando uno dei primi grandi supporter di JoinPad, Roberto Bonzio, mi propose un’intervista su Italiani di Frontiera…

Dieci anni fa la realtà aumentata era una tecnologia nuova e poco conosciuta, usata per lo più per lanciare delle campagne commerciali sfruttando il suo naturale effetto scenico.

(nel video: Adidas Originals Augmented Reality Sneaker Experience 2010)

Io e il mio team eravamo convinti che il potenziale della tecnologia fosse altamente sottovalutato e che, grazie alle sue caratteristiche, se fosse stata utilizzata nel settore industriale avrebbe potuto creare nuove ed importanti opportunità. Per esempio,  condividere la conoscenza specializzata per operare su un macchinario con persone che non abbiano avuto un addestramento specifico. Di conseguenza, con la giusta applicazione AR sarebbe stato possibile ridurre gli spostamenti di tecnici specializzati, ottimizzare i tempi e risparmiare tanti soldi in viaggi, formazione e addirittura prevenire errori o interruzioni non previste dei macchinari.

(nella foto: applicazione Smart Assistance di JoinPad su tablet Samsung Tab Active Pro) 

Nasce così Smart Assistance di JoinPad, uno strumento di video streaming per la teleassistenza, che consente di collegare un esperto in remoto e un lavoratore sul campo in tempo reale durante le operazioni di manutenzione, e di condividere informazioni in Realtà Aumentata direttamente nell’ambiente di lavoro.

(Nel video Smart Assistance per Alstom: Augmented Reality support for train maintenance)

Durante l’emergenza sanitaria del 2020 e il conseguente lockdown, Smart Assistance è stata una delle applicazioni più richieste dalle aziende, registrando un incremento della domanda del 980% in più rispetto all’anno precedente, per garantire la continuità operativa minima ai propri clienti.   All’inizio è stato complesso convincere le aziende italiane, che per mentalità erano particolarmente restie ad adottare una soluzione che sembrava uscita da un film di fantascienza. Mi ricordo ancora il manager di una grande multinazionale che durante la mia presentazione mi fermò dicendo: “Perdonami, ma questa soluzione è troppo innovativa per noi! A noi serve qualcosa di più modesto…”, era ovviamente spaventato, non dalla soluzione in sé, ma dal cambiamento. La paura del cambiamento rappresenta da sempre il vero ostacolo all’innovazione, ma è un problema puramente umano e decisamente superabile, lo dimostra il fatto che oggi utilizziamo lo smartphone e non il telegrafo per comunicare a distanza (persino il manager dell’aneddoto che ho citato!).

In questi anni JoinPad è cresciuta, da startup è passata a essere un gruppo internazionale con sede principale in Italia e società presenti in Cina e Stati Uniti. Una crescita organica che ci ha permesso di sopravvivere in un mercato dove competitor esteri hanno bruciato centinaia di milioni di euro di investimento, e di  lavorare con grandi brand come ABB, Siemens, GE Group, Alstom, Samsung e molti altri. Quello a cui abbiamo potuto assistere in 10 anni è stato un cambiamento epocale nel settore industriale. Girando le fabbriche del mondo abbiamo potuto vedere come il trend dell’industria 4.0 non sia un’opzione ma la sola strategia percorribile per una società che vuole sopravvivere ed essere competitiva in un mondo globalizzato e costantemente connesso.

Un mondo connesso che ha mostrato le sue debolezze durante l’epidemia globale di Covid19. Un brutto periodo che nel nostro piccolo abbiamo cercato di attenuare, adeguando i nostri prodotti durante l’emergenza di Wuhan, per migliorare il coordinamento a distanza del team medico cinese. Ma come sappiamo la crisi ha colpito duramente anche le nostre aziende. Fabbriche, impianti di smistamento logistico e relativi processi sono ancora analogici o  strettamente legati all’attività dell’essere umano. L’Italia non solo ha “subito” questa inflessione ma in qualche modo ne è diventata suo malgrado la causa, provocando conseguenze a livello internazionale: siamo al 5° posto nel mondo dell’esportazione di macchinari industriali, un business che necessita un continuo supporto nei confronti del cliente. E se i tecnici non possono viaggiare, le attività lavorative si fermano. 

Ho assistito personalmente al preludio di un futuro prossimo diverso due anni fa, durante la visita presso gli stabilimenti di un nostro partner cinese, Janus Technologies, una società che si occupa di vendere linee di produzione per le cosiddette “Smart Factories” dei produttori di smartphone. Si tratta di stabilimenti dove tutti i processi vengono automatizzati, dall’assemblaggio allo smistamento logistico; tutto avviene attraverso macchine e robot grazie a svariati protocolli di comunicazione, scambio di dati e algoritmi che dirigono e ottimizzano le attività dei bracci robotici.

Le analisi dicono che più dell’89% delle aziende hanno riscontrato fermi macchina non pianificati negli ultimi 3 anni, con un costo medio di 260mila euro all’ora. Quello che ne deduciamo è che l’incremento dell’automazione renderà i processi più robusti ma anche più complessi da gestire.  In questo contesto, l’essere umano continua e continuerà ad esistere nella figura del manutentore, il tecnico che deve intervenire quando le cose non vanno per il verso giusto. Questa tecnologia dunque punta a potenziare le capacità umane, non a sostituire l’uomo con la macchina.

  Gli esseri umani che dovranno gestire questa “torre di Babele industriale” dovranno avere una conoscenza trasversale di molti argomenti, e riuscire a dialogare con le macchine in modo da risolvere i problemi nel minor tempo possibile. Ecco quindi la domanda indispensabile per capire il futuro prossimo dell’ambiente industriale: il tecnico come potrà essere in grado di accumulare conoscenza in un ecosistema così complesso? La Realtà Aumentata abbinata all’Intelligenza Artificiale forniscono la risposta: una AI a disposizione dell’essere umano che facilita la comunicazione e l’interazione con le macchine, utilizzando interfacce immersive. In JoinPad noi le chiamiamo Co-AI (Collaborative AI). Questo sarà possibile poiché le AI terranno conto di diverse variabili in pochissimi secondi quali strumenti a disposizione, Big-Data, repository di conoscenza, altri esseri umani coinvolti, spazio e tempo, a un livello non raggiungibile dalle sole capacità umane.

8Nel video CO-AI JoinPad)

Le Co-AI non sono il futuro, rappresentano il presente, il primo passo per rendere la conoscenza una commodity. Questo nuovo approccio estende le capacità dell’essere umano di far fronte alle emergenze attuali, rendendo le aziende in campo industriale più solide anche in situazioni impreviste.

Senza limitarci al mondo delle industrie e del lavoro, l’Intelligenza Artificiale abbinata alla Realtà Aumentata potenziano le possibilità di affrontare con successo le sfide più ambiziose del futuro dell’essere umano: la colonizzazione dello spazio, la protezione del nostro pianeta e la conservazione della nostra specie.

Mauro Rubin nato a Torino è fondatore e amministratore delegato di JoinPad, società di Realtà Aumentata con sede a Milano e uffici in Cina, Brasile e Stati Uniti.

Luca Penati_rectangular

Impareremo dalle avversità, come da italiani abbiamo sempre fatto
(Luca, San Francisco)

Per la prima volta da quando ho lasciato l’Italia più di 20 anni fa, sento che è inarrivabile.

Non lontana. Lontana lo è sempre stata. Ma adesso è proprio irraggiungibile. Un sentimento nuovo, inesplorato. Ho sempre pensato di poter prendere un aereo ed essere lì, in qualsiasi momento. Non in un attimo, perché la distanza dalla California è sempre stata importante. Ma adesso è una distanza impossibile. Come una maratona che non finisce mai. Inimmaginabile.

Per oltre 30 anni, prima in Italia e poi negli Stati Uniti, ho lavorato in agenzie di comunicazione e marketing, aiutando aziende grandi o piccole, locali o globali, a creare legami importanti e autentici con i propri consumatori, clienti, dipendenti, comunità locali o in rete, investitori o azionisti. Ho avuto la fortuna di lavorare con imprese che hanno rivoluzionato il mondo, da Apple ad Intel.

Poi, poco più di un anno fa, ho deciso di mettermi in proprio. Volevo avere più tempo per me, per la mia famiglia, e per aiutare la non-profit di mia moglie che combatte il razzismo, creando nuovi storytellers provenienti da famiglie emarginate. Se cambi chi racconta le storie, cambi le storie e cancelli i pregiudizi creati dalle stesse. Ma sentivo anche una necessità, quasi viscerale, di lavorare di più con l’Italia, di aiutare questo paese tanto bello quanto in difficoltà. Con l’idea, forse un po’ americana, di “give back.” Ho pensato: “L’essere italiano mi ha giovato e portato fortuna nel corso della mia carriera. E’ ora di contraccambiare”. Mettiamo la mia esperienza e i capelli brizzolati— un modo elegante per non dire grigi— a disposizione delle tante aziende innovative italiane. Tutto questo, ho pensato, mi porterà anche a passare più tempo in Italia, visitando famigliari e amici, tra una pizza come si deve e un tiramisù fatto in casa. Non male. Convinto, nell’ottobre del 2019, ho lanciato “Penati and Partners” con l’obiettivo di aiutare “agencies and brands reach their full potential, while saving time and money”. La nuova avventura è iniziata alla grande, lavorando immediatamente su alcuni progetti interessanti, anche con un paio di aziende con forti legami con l’Italia. Poi… il Covid-19 è arrivato. Cambiando tutto. Stravolgendo tutto, incluso i collegamenti aerei tra gli Stati Uniti e l’Europa.

E così, almeno per un po’, non potrò visitare il Bel Paese, il mio Paese. Sembra un niente, un inconveniente, ma non lo è. È qualcosa di più profondo. È come se il cordone ombelicale che ci teneva ancora uniti, fosse stato improvvisamente tagliato, senza avviso. Mi sento come si dovevano sentire gli emigranti del ‘900. D’America o d’Argentina. Con un oceano praticamente invalicabile alle spalle, un ostacolo insormontabile per chi volesse tornare indietro. Ovviamente con tutti i dovuti raffronti. Io da privilegiato, loro da esploratori, conoscitori dei sentieri percorsi, ma inconsapevoli di ciò che gli stava davanti. Io con FaceTime, GPS e una bella casa vicino al mare. Loro spesso analfabeti, senza mezzi di comunicazione adeguati, e due lire in tasca.

Ma come loro sento il bisogno, più che mai, di sentirla vicina, raggiungibile. Come se non ci fossimo mai lasciati. Ho così riscoperto la gioia di leggere libri italiani, portati con me negli anni, ma dimenticati sullo scaffale della libreria. Se quando sono venuto qua, avevo una fame continua di assorbire la cultura Americana e del mondo intero, adesso sento ugualmente forte il richiamo alle mie radici. Più che mai ascolto artisti italiani. Scoprendo, o meglio, riscoprendo che l’Italia è un paese di poeti musicisti. Con mia moglie cinese-americana, facciamo la pasta con la macchina a manovella, il pesto con il basilico coltivato dalla vicina, e l’Amatriciana con il guanciale prodotto localmente. Perché il cibo è memoria. E’ l’aereo che non posso prendere, il viaggio che non posso fare, gli amici e i famigliari che non posso abbracciare, i clienti che non posso incontrare.

Allora guardo le copertine sbiadite dei miei, ormai vecchi, libri italiani e mi ci tuffo dentro, scoprendo storie piene di colori, vita e sapori. E in quell’istante, immediatamente, mi sento più vicino di sempre al mio Paese. Come se non fossi mai andato via. 

Ma siamo italiani. Le avversità ci hanno sempre fatto compagnia. E sempre, impariamo qualcosa per uscirne migliori. Sarà così anche questa volta.

Luca Penati è il founder e chief advisor di Penati & Partners, uno studio di consulenza di comunicazione strategica con sede a San Francisco | Silicon Valley, California.

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Proiettato nel futuro chi ha capito che nulla tornerà come prima
(Filippo, Meda)


Il nostro settore è stato colpito nel momento più importante della stagione, quello del Salone del Mobile, provocando danni inquantificabili su tutta la filiera. Io e i miei collaboratori abbiamo trascorso gli ultimi tre mesi lavorando sodo per combattere l’incertezza dilagante che la crisi sanitaria stava producendo.
In due settimane, a partire da quel 9 marzo durante il quale abbiamo deciso di chiudere temporaneamente i nostri negozi, abbiamo stravolto il nostro sistema di marketing e di vendita facendo leva sulla nostra forza digitale, servendo i nostri clienti attraverso le piattaforme web e creando con loro progetti di design molto sofisticati.
La nostra capacità di trasformarci e di trasformare la nostra azienda in così poco tempo, è stata l’esperienza più importante degli ultimi anni.
Abbiamo studiato molto, cosa che molte aziende non fanno, soprattutto nel nostro settore.

Quando abbiamo iniziato, 2002, chiunque nel nostro mondo ti diceva in faccia che da quella parte, un mobilificio online, non ci sarebbe stato futuro perché il nostro settore era molto fisico, le persone dovevano toccare i prodotti, dovevano frequentare i negozi e nessuno mai sarebbe riuscito a vendere online addirittura un divano, che invece ha un comfort dei tessuti delle trame da toccare o delle soluzioni da vedere.

Noi abbiamo fatto le prime campagne su Google adwords e iniziato a studiare il web marketing ma anche a scrivere su un blog, siamo stati gli autori senza volerlo del primo blog nel nostro settore. Iniziando a farci tanti amici e a raccontare tutto quello che in qualche modo ci faceva innamorare.

Non solo marketing. Volevamo un contatto diretto con tante persone nel mondo ma  in realtà dal nostro piccolo laboratorio di Meda era difficile fare perché erano necessari grandi budget che erano in mano solo a grandi gruppi ai grandi nomi che facevano Salone… quindi abbiamo creato uno sviluppo non materiale del business e del marketing. E in questo, in queste settimane ci siamo trovati a mettere in pratica quello che in qualche modo facciamo veramente da tanti anni, anche se nel tempo oltre allo sviluppo digitale abbiamo poi coltivato un insieme di attività che ci permettevano di fare l’unica cosa che volevamo e sapevamo fare: relazionarci con il cliente finale, in un settore come il nostro in cui la catena del valore è molto lunga, i grandi marchi spesso non parlano con il cliente finale…

Internet è diventato un modo per relazionarsi con i clienti conoscerli direttamente. E quindi quando è successo che la Brianza ha iniziato a chiudere i battenti e anche i nostri negozi dovevano essere chiusi, abbiamo ricominciato a concentrarci nella relazione col cliente senza lo spazio fisico finale e questo ha prodotto un risultato molto molto interessante: nel momento in cui i negozi hanno chiuso abbiamo aperto un altro negozio virtual, un ecommerce in cinque lingue al quale abbiamo aggiunto anche il cinese, ricominciando a vendere online con tutti i nostri ragazzi al fianco e stiamo continuando farlo e questo sta aprendo a delle nuove formule delle nuove idee che forse potranno innescarsi e forse rimanere dopo l’emergenza.

L’errore più grande che si può fare ora è pensare (e sperare) che tutto torni come prima. Quando è chiaro che nulla tornerà come prima. Chi l’ha capito, è già proiettato verso il futuro.
Chi invece non l’ha fatto, rischia di soccombere molto velocemente.

Noi l’abbiamo capito il 9 marzo e oggi stiamo pianificando il nostro business a 5 anni con un modello figlio della nostra esperienza digitale degli ultimi 15 anni, dell’esperienza fatta nel retail degli ultimi 5 anni e, inutile negarlo, dell’esperienza preziosissima degli ultimi 3 mesi.

Il consiglio che posso dare in questo momento è quello di studiare. Imparare e mettere in pratica da subito. Fare impresa oggi non è semplice e mai come ora non è possibile improvvisare.

Filippo Berto è amministratore delegato di Bertosalotti a Meda, Brianza, pioniere nell’uso del web e dei social per un settore tradizionale come quello dei mobili. Qui il suo blog.

Qui il confronto tra Filippo e David Bevilacqua (EnergyWay), già ceo di Cisco Italia, nel recente webinar Italiani di Frontiera sulla piattaforma Rinascita Digitale ,

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Grande opportunità Nuova Consapevolezza su scienza, megalopoli… e noi stessi
(Rossella, Milano)

Tre motivi per essere ottimisti, su alcune conseguenze culturali e sociali dell’epidemia che genereranno preziosi cambiamenti.

1) La ricerca è uscita dall’ambito accademico dialogando molto più con la società civile, mettendosi in gioco e rinnovando competenze.

2) E’ in corso un ripensamento profondo della grandi megalopoli urbane.

3) Siamo stati “gentilmente invitati” a riflettere su noi stessi e le nostre scelte, cercando soluzioni nuove per la società…

Rossella Guido è specialista comunicazione, orientamento ed eventi di Università Milano Bicocca

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Abbiamo capito che un mondo diverso è possibile. Basta volerlo
(Darya, Livorno)

La quarantena è stata un’esperienza di consapevolezza, riflessioni, grandi domande, grandi risposte e scelte… consigli per il futuro? Non possiamo tornare alla “normalità” di prima, siamo tutti consapevoli che è possibile un mondo diverso, basta volerlo. E’ il momento di lottare tutti insieme per i valori della giustizia, dell’equità, della parità.

Darya Majidi imprenditrice tecnologica e mamma, è autrice del libro “Donne 4.0” per avvicinare le donne alle tecnologie come strumento di libertà, creatività e crescita professionale.

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Dopo Covid più forti, curiosi come bambini, capaci di mettere in discussione i nostri stili di vita.
(Jacopo, Milano)

La vita che facevo prima? Mi piaceva ma ora faccio altro. La quarantena ci ha fatto fare mille scoperte, capire cosa sappiamo fare meglio. L’emergenza come tutti gli eventi dirompenti del passato offre un nuovo punto di riferimento, dopo aver smosso le nostre coscienze. Faticoso ma un’opportunità per crescere e ridisegnare il valore, mettendo in discussione i nostri stili di vita.

A sette anni ha scritto la sua prima linea di codice, a 12 ha iniziato a sviluppare siti Web, a a 15 ha iniziato a produrre video musicali che hanno raggiunto oltre 15 milioni di visualizzazioni (alla vigilia dell’esame di maturità era in treno a ripassare, di ritorno da una consulenza aziendale…).  

Jacopo Guedado Mele salernitano d’origine è consulente per l’innovazione di amministratori delegati, per far cogliere alle loro aziende le opportunità della digital economy. Docente a contratto dell’Università Cattolica, è stato inserito da Forbes nella graduatoria degli Under 30 più influenti al mondo.

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Grande occasione d’innovazione. Ma non torniamo a pensare in piccolo
(Valerio, Roma)

E’ l’inizio del 2005 quando un ragazzino umbro finisce sui media di mezzo mondo per un’iniziativa ingegnosa. Poco dopo il terribile tsunami che ha devastato diversi Paesi asiatici, ha l’idea di trasformare il suo sito di appassionati dei cartoon dei Simpson in una piattaforma per la ricerca di dispersi… dall’altra parte del mondo, incrociando gli elenchi di feriti negli ospedali con quelli di persone che cercano i propri parenti.

Un’idea che ha funzionato. E le parole chiave che l’hanno ispirata sono più che mai preziose oggi, nel dopo emergenza coronavirus: Solidarietà, Creatività, Tecnologia, Competenza. Unite alla Consapevolezza: di esser parte di una grande comunità, quella umana, che non conosce confini.

Oggi Valerio Natale, avvocato a Roma, intravede diverse opportunità nei cambiamenti che questa emergenza ha innescato. A patto dice, di non dimenticare troppo in fretta, di non tornare a pensare in piccolo.

Valerio Natale, umbro, dopo una laurea in Legge all’Università Roma Tre (con tesi su Open data e questioni di privacy, riconosciuta “di particolare valore”) ed esperienze al Parlamento Europeo a Bruxelles è oggi avvocato di uno studio legale internazionale a Roma.

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Stop a individualismo esasperato, puntiamo sulla forza della volontà collettiva
(Rocco, Kuala Lumpur)

Da più di 10 anni vivo in Malaysia, consulente nell’ambito dell’internalizzazione d’impresa e dell’export, lontano dall’Italia e dai miei affetti (sono papà di Laura e Davide). Allo scoppio della pandemia il mio ufficio in Menara Citibank, all’ombra delle Twin Tower di Kuala Lumpur, è stato forzatamente chiuso. Mentre i funzionari del Governo volevano riaprire gli uffici e gli esercizi per non frenare l’economia, i nuovi casi di contagio continuavano ad essere registrati quotidianamente, anche con cifre in rapida crescita, soprattutto tra migranti privi di documenti che lavorano nei cantieri (malcostume diffuso in Malaysia). Come in Italia, ha prevalso la tutela della salute a discapito dell’economia.

La massiva diffusione della pandemia era stata favorita dai pellegrini che avevano dormito nelle tende e sostato fuori dalla Sri Petaling Mosque appena fuori città, per partecipare ad un evento religioso che si era tenuto dal 27 Febbraio al 1 Marzo, svegliandosi prima dell’alba per inginocchiarsi su file di tappeti per pregare spalla a spalla e che non potevano sapere, che tra gli ospiti non graditi, ci fosse anche il coronavirus.

In aggiunta, molti musulmani, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, hanno infranto le regole e le restrizioni del MCO (movement control order) per celebrare il Ramadan e per potersi ricongiungere alle loro famiglie. Il Ramadan in questo Paese è particolarmente sentito e viene celebrato con specifiche ritualità. Le regole restrittive imposte dal Governo a fronte dell’emergenza sanitaria si scontravano con le esigenze dei fedeli di santificare questo periodo. Così si sono viste folle di fedeli che si preparavano a pregare fuori dalla moschea nazionale (chiusa) mentre si celebrava Eid al-Fitr, la festa musulmana che segnava la fine del santo mese di digiuno del Ramadan. La polizia è stata costretta ad arrestare migliaia di persone per aver infranto il MCO, era stato previsto dal Governo l’arresto per queste gravi violazioni delle disposizioni.  Nonostante la Malaysia sia stata uno dei Paesi più colpiti dal Covid19  il Governo ha reagito in maniera repentina. Il servizio sanitario ha reagito bene, con la creazione di cordoni sanitari hot-spot in tutto il paese con prelievi a campione sulle strade.

Vivere da solo… non ci ho mai pensato molto e non mi è mai pesato. Ma mentre il nuovo virus mi costringeva a distanziarmi socialmente, ho iniziato a sentirmi strano. Dopo tutti questi anni di sfide e di grandi soddisfazioni, io mi sentivo solo, smarrito e preoccupato in un Paese che dopo molti anni mi sembrava estraneo, non il mio. Mi mancava la possibilità di vedere, conversare, abbracciare o trascorrere del tempo con gli amici. La vita sembrava più superficiale, più simile alla sopravvivenza che alla vita. La mia attività basata sulle relazioni interpersonali, sui viaggi intercontinentali, su meeting e pranzi di affari, cerimonie per la firma di accordi internazionali, era svanita. Sembrava fossi entrato in una nuova dimensione, in un “tempo sospeso”, nel quale mi sentivo vulnerabile e avevo paura per la mia salute e per quella dei miei familiari. La solitudine imposta e non scelta, è sempre dolorosa. Ricordo di esser stato colpito dalla riflessione di qualcuno, che suonava così: “Quando finiremo questo periodo di isolamento e ne usciremo, non credo che la società cambierà, siamo studenti lenti e troppo pigri per imparare cose nuove”.

Io, per natura positivo e dalla forma mentis incentrata sulla propositività, sono invece convinto che da questa esperienza ne usciremo più forti e potremo dire: “wow, ho fatto molte cose buone in questo periodo, perché non continuare?”. Ora siamo in una fase di decisioni difficili e di una nuova consapevolezza. La pandemia dovrebbe incoraggiarci a riflettere sul potere della nostra volontà collettiva. Nonostante l’enorme numero di posti di lavoro persi, la pandemia potrebbe essere un’opportunità per ripensare al mondo del lavoro e all’economia del Paese: verso quali settori indirizzare le nostre energie? Quali parti dell’economia vorremmo ripristinare e di quali parti potremmo fare a meno?

In questi ultimi mesi si è fatto largo ricorso alla parola crisi. In giapponese la parola “crisi” racchiude in sé un duplice aspetto, rimandando sia al pericolo sia all’opportunità. È nella mia tendenza a guardare sempre il bicchiere mezzo pieno, che vorrei soffermarmi sulla seconda ipotesi, quella di una crisi che dischiude nuove opportunità di sviluppo e benessere. La crisi del coronavirus ci apre infatti le porte alla creazione di società più compassionevoli, tipi di società che si riconoscono perché collegate e perché mirano a gestire il nostro pianeta in modo da poterlo donare alle generazioni a venire.

Da un punto di vista evolutivo, la salute dell’uomo viene dalla comunità. La vita umana non prospera in isolamento. Far parte di una comunità è importante per la nostra salute fisica e mentale. Ad oggi viviamo già in modo molto più egoistico e distanti gli uni dagli altri, di quanto non sia mai stato in passato. Dobbiamo continuare su questa strada? La pandemia potrebbe darci l’opportunità di ripristinare le connessioni perse, quelle umane, e creare società più integrate e cooperative. Il concetto del “tutto è connesso” si dovrebbe tradurre in una rinnovata coscienza collettiva nella quale si è vicini e collaboranti, in una realtà nella quale ogni forma di vita viene trattata con rispetto e dove il rapporto uomo-pianeta sia incentrato sull’equilibrio e sulla sostenibilità. È giunto forse il momento di una seria messa in discussione dell’individualismo esasperato, causa e allo stesso tempo sintomo di alcune patologie sociali. In questo nuovo tempo potremo scoprire che si può vincere soltanto grazie ai legami con gli altri esseri viventi, dando così forma ad una vittoria corale in cui “tutto è connesso”.

Sogno un futuro nel quale spenderemo più tempo per stare insieme, per rafforzare i nostri rapporti interpersonali e viverli a pieno, senza relegarli ai ritagli di tempo libero dal lavoro. Confido che questo ci consentirà di incrementare il nostro benessere e che attraverso la condivisione potremo alleggerirci dal peso di questi mesi difficili co-costruendo una rinnovata normalità, quella della nuova consapevolezza.

Vi lascio e vi saluto con le parole di Franz Kafka: “Non sprecate tempo a cercare gli ostacoli: potrebbero non essercene.”

 Rocco Papapietro è consulente di strategie di internazionalizzazione come direttore esecutivo di Verdevita Sdn. Bhd a Kuala Lumpur (Malaysia), dove è anche general manager di Compagnia delle Opere Asean DESK.

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Seguire l’istinto e trovare un equilibrio interiore. Per cambiare direzione
(Luisa, Lapponia svedese)

La mia ossessione era vivere, vivere a modo mio, vivere come mi piaceva, vivere con queste grandi piccole gioie”

Tiziano Terzani

Vivo da molti anni in un tempo senza tempo, immersa in una sorta di liquido amniotico rassicurante e fuori dai rumori del mondo. Sono fortunata a vivere in un comprensorio che conta un abitante per chilometro quadrato e gli unici assembramenti sporadici sono costituiti da gruppi di renne che vagano sulle montagne in cerca di refrigerio.

Spesso faccio fatica a ricordare in che giorno della settimana mi trovo e programmo le mie giornate e il mio lavoro seguendo il ritmo delle stagioni. Il freddo è la costante di questo territorio – duecentosessantacinque giorni di neve all’ anno e temperature diurne e notturne sempre sottozero. L’arrivo del disgelo è annunciato dai primi uccelli migratori come le gru, che scelgono queste zone per nidificare, e dalla migrazione delle renne verso i pascoli estivi per dare alla luce i piccoli. Il ritiro dei ghiacci è anche il segnale per liberarsi dai vestiti pesanti senza l’intralcio di indumenti spesso superflui per camminare tra l’erba alta in estate durante il Sole di mezzanotte. 

Mi trovo nella Lapponia svedese a Tänndalen – Teanndaelie, nella lingua dei Sami del Sud nella Svezia settentrionale a quindici chilometri dal confine norvegese. Si tratta di una piccola frazione di casette di legno circondate da Riserve Naturali e abitata da due comunità dei Sami che si dedicano all’allevamento delle renne. Qui anni fa ho aperto un’attività turistica locale sulla scia di quello che avevo imparato nel corso degli anni lavorando con operatori turistici stranieri. Complice di questa avventura il mio husky siberiano, dal quale ho imparato l’amore per la libertà senza riserve e di cui non avevo bene afferrato l’importanza ed il significato finché non ho lasciato la città. Così attraverso questa agenzia mi propongo a coloro che vogliono vivere un’esperienza diversa dalle altre e fuori dalle mete turistiche sperimentando la slitta trainata dai cani, lo sci di fondo, la motoslitta e conoscendo più da vicino a cultura delle popolazioni indigene dei Sami. Anche l’estate è un momento privilegiato: attraverso splendide passeggiate si può scoprire una tundra artica inedita fatti di silenzi, animali selvatici e colori meravigliosi.


Isolamento e distanziamento sociale rientrano nella vita normale di tutti i giorni, un po’ per collocazione geografica ed un po’ perché sono attitudini che si possono applicare alla cultura scandinava. C’è un modo di dire in Svezia che recita “ Lagom är bäst”- ovvero la giusta quantità e la migliore. Equilibro, moderazione, essenzialità si applicano nella vita di tutti i giorni- Qui il saluto è sobrio si mantiene un aplomb cordiale ma distaccato.  Molti nuclei famigliari sono composti da una persona. Il senso civico è spiccato ma quando ciascuno chiude la porta di casa è difficile poi entrarci se non fai parte delle loro amicizie.
L’ impatto con l’emergenza Covid19 nel lavoro è stato immediato, improvviso e disarmante. Voli cancellati, aeroporti chiusi ed anche la vicina Norvegia ha chiuso i confini lasciandoci con un palmo di naso, noi che essendo paese di confine viviamo anche grazie ai norvegesi che vengono a comprare ed a passare le vacanze dalle nostre parti. In pochi giorni il covid19 ha mandato all’ aria anni di lavoro e prenotazioni e con la frustrazione di non sapere da dove ricominciare e soprattutto come.  Adesso con la ripresa dei voli internazionali le speranze si sono riaccese.
Il governo svedese non ha seguito le regole del lockdown come il resto d’Europa.
 

Nelle zone in cui vivo gli abitanti hanno sempre avuto fiducia nelle direttive del  Folkhälsomyndigheten (Autorità della salute pubblica) come fatto inconfutabile e indiscutibile.  Le linee guida sono quelle strettamente necessarie: se sei malato stai a casa, mantieni le distanze e lavati le mani.  Secondo il responsabile della crisi dell’OMS Michael J Ryan, in una conferenza stampa di qualche giorno fa il modo di agire della Svezia durante la pandemia da covid19 potrebbe essere un modello per il futuro.  In realtà penso che questo approccio della Svezia per contrastare il virus   possa essere applicato solo alla Svezia sia per storia culturale che per territorio. Quella che per gli italiani è stata un’imposizione per gli svedesi si è tramutata in un suggerimento, consiglio da parte del governo su come i suoi cittadini avrebbero dovuto comportarsi, chiamando in causa la fiducia nei confronti dell’Autorità ed il buon senso del singolo cittadino. 

  Il lockdown identificato con la perdita delle comodità, con limitazioni materiali ha fatto sicuramente riflettere. Tuttavia, credo che come tutti i grandi traumi della storia ci potrebbe essere la tendenza a rimuovere subito tutto ed in fretta come una sorta di riflesso incondizionato. 

 Auspicabile sarebbe invece trarre da questa Pandemia degli insegnamenti e attuare un cambio di direzione – a livello globale non finanziare più chi inquina, chi genera malaffare, chi specula sulla salute altrui e a livello individuale e sociale rispetto e considerazione per i nostri anziani, rispetto dell’ambiente, responsabilità individuale. Anzi, su quest’ultimo aspetto “il modello svedese “su come gestire il covid19 si è basato su un atteggiamento che non ha delegato il governo a fare la sua parte ma principalmente è stato chiamato in causa il cittadino. Solo un comportamento individuale responsabile avrebbe salvato il salvabile. La politica è rimasta fuori,
Ora, tutto questo per dire che non è certo necessario arrivare al Polo Nord e fare una vita da asceta per essere felici anche perché’ si acquistano moltissime cose ma se ne perdono altre. Quello che mi sentirei di suggerire – è di seguire l’istinto  – un po’ come gli animali quando annusano l’ aria curiosi di sapere da dove quell’ inaspettato profumo arrivi  e  fare le cose che fanno stare bene –   nel mio caso ho dato la priorità agli animali e alla natura, lavorando proprio all’interno di un contesto molto particolare come può esserlo il freddo polare, la natura artica etc. . Importante è anche riuscire a raggiungere un equilibrio interiore – il cosiddetto “bastare a sé stessi” – lavorare per costruire una stabilità emotiva ed economica che ti permetta di reggere agli urti della vita e nello stesso di rafforzare la tua stima. Imparare a non dipendere da gli altri  e cercare di realizzare i propri sogni non con arroganza e a discapito degli altri ma al contrario con umiltà – aprendosi alle esperienze degli altri  con la predisposizione d’ animo che c’è sempre da imparare. 

Luisa Trojanis  dopo la laurea all’Università di Siena e un’esperienza internazionale nel turismo fra la sua Toscana, Austria, Palma di Maiorca e la Svezia, è da diversi anni manger di Redfox Adventure Holidays (info@redfoxadventure.it), tour operator nella Lapponia svedese.

Il canale YouTube di Redfox Adventure.

Luisa nell’archivio Italiani di Frontiera e in un mio pezzo per Forbes

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Il segreto? Tutto può essere ripensato, riprogettato. E attuato
(Nicola, Cagliari)

Speriamo diverta il grande Roberto, simuliamo un’intervista… speriamo vi piaccia l’idea!


Come e dove avete vissuto questa emergenza?

Viviamo questo tsunami nella e dalla nostra amata Sardegna, a Cagliari, più frontiera di così … come molti, lo affrontiamo stringendoci alle famiglie e agli affetti, senza aver mai smesso di lavorare (anzi) e senza aver dimenticato nessuno, almeno lo speriamo, ci siamo impegnati al massimo per questo. Sono e saranno, infatti, tanti gli amici e le aziende vicine che avranno necessità di sostegno, fosse anche solo morale, è lì che bisogna essere. Uniti ed in rete, formando reti di reti e azionandole, questo è il modo in cui affrontiamo e dobbiamo affrontare la più pazzesca delle crisi che la letteratura e la dottrina socio economica (e politica) abbiamo mai vissuto.

Come ha impattato sulla nostra vita personale e aziendale?

Moltissimo! Noi abbiamo un lifestyle business, di più sarebbe difficile da pensare. Da Bressanone a Canicattì, quotidianamente, abbiamo a che fare con startup e PMI, pubbliche amministrazioni, banche, fondi, angels ed istituti finanziari di secondo livello. Perché? Perchè siamo un modello avanzato di startup studio, www.kitzanos.com è un’azienda che fa aziende, per sé e per altri. Fa aziende per sé perché, forte del suo centro di ricerca interno (che ha una personale storia nella dottrina delle reti, della complessità e del disegno dei mercati) sviluppa i propri prodotti e li mette nel mercato. Fa aziende per altri, perché l’insieme delle consolidate competenze manageriali ed imprenditoriali, proprie del suo staff, mette a disposizione un team che assiste nella nascita e nella crescita delle imprese, siano esse startup o piccole medie imprese. Siamo un’economia circolare endogena ed esogena.

Quindi, come molti, abbiamo preso in faccia un diretto micidiale … per non parlare poi della didattica a distanza dei figli e dell’assistenza da dare ai nonni ed ai bisognosi …


Quali opportunità di cambiamento positivo si possono cogliere?

Se tutti vedessero gli elefanti nella stanza si capirebbe che è un’occasione storica per cambiare tutto. E’, ahinoi, la tempesta perfetta, si può progettare tutto quello che serve: nuovi modelli di banca, di welfare territoriale, di giustizia sociale, ambiziose idee per la responsabilità sociale d’impresa, nuove piattaforme per l’abilitazione della nuova domanda, nuovi servizi per la persona e così via. Paradossalmente, se non finiscono di distruggerci, è un nuovo ed inaspettato eldorado. Tutto può essere ripensato, riprogettato e attuato. Già perché è questo il segreto, fare cose da scaricare a terra senza dover chiedere permessi né autorizzazioni, cambiare perchè si deve cambiare e perché si ha l’idea giusta per farlo.


Un incoraggiamento, un consiglio, un pensiero, specie per i più giovani?

Chi ha le energie, le idee e la voglia di cambiare il mondo ci provi ancora: perché è possibile, è possibile traghettare i territori del nostro amato paese verso un nuovo futuro culturale ed imprenditoriale. E’ possibile una Sardegna (sono possibili tutte le regioni) che, facendo leva sulle proprie competenze e sui propri giacimenti (immateriali, siamo per un’economia generativa, non estrattiva) si proponga di diventare uno degli attori del nuovo umanesimo digitale. E noi vecchi? Dobbiamo solo agevolare l’abilitazione di nuove piattaforme imprenditoriali digitali, il resto lo farà nel nuovo mercato il fiuto dei giovani leoni.

– Una citazione per chiudere?

Serve il collettivo per vincere, serve ogni maledetto centimetro, perché come singoli ci annienteranno, quindi l’intramontabile Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”.

Grazie per averci coinvolto, W LA VITA, un sorriso. (Nicola, per Kitzanos Team).

Nicola Pirina è amministratore delegato di Kitzanos, azienda che da Cagliari fornisce servizi di consulenza nell’innovazione manageriale, dallo sviluppo del business alle pubbliche relazioni.